“La verità non è mai rumorosa. Parla piano, e solo se qualcuno è disposto ad ascoltare.”
Perché ci affidiamo alle voci e non ai dati, ai fatti?
L’informazione è fondamentale, ma viviamo in un tempo in cui ogni notizia si diffonde in pochi istanti, spesso ben prima che i fatti vengano accertati. E troppo spesso, il bisogno di sapere lascia spazio alla fretta di giudicare.
Il gossip — quello mediatico e quello diffuso nei corridoi della vita quotidiana — ha una funzione precisa: ci rassicura.
Ci fa sentire dentro un gruppo, dalla parte giusta, informati, protetti.
Ma è una protezione fragile, costruita più sulla narrazione che sulla realtà.
Il fatto richiede tempo. Il gossip no.
Attenersi ai fatti è difficile: richiede tempo, cautela, responsabilità.
Serve la disponibilità ad ascoltare più versioni, a tollerare il dubbio, ad aspettare che la verità emerga — se e quando emergerà.
Il gossip, invece, semplifica.
Trasforma le persone in personaggi: il colpevole, la vittima, il mostro, l’innocente, l’ impostore…E in questa semplificazione perdiamo ciò che davvero conta: la complessità della realtà umana.
-Quando giudichiamo , di chi stiamo parlando?
Il gossip, in fondo, non parla mai davvero della persona coinvolta.
Parla di noi: delle nostre paure, della nostra rabbia, del bisogno di vedere il male fuori da noi per sentirci più buoni, più sicuri, più certi.
Ma la verità non ha bisogno di certezze precoci.
Ha bisogno di rigore, di silenzio, e di un pensiero che sappia restare aperto.
Quando il giudizio prende il posto del pensiero, la realtà si appiattisce sulla paura.
E, nel bisogno di semplificare, perdiamo il diritto più prezioso: quello di attendere, comprendere, distinguere.
Dobbiamo impare a proteggere lo spazio in cui i fatti possono ancora essere pensati.
Senza questo spazio, la giustizia non è più cura del vero, ma solo eco del clamore.
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