L’importanza di distinguere e di saper distinguere

L’importanza di distinguere e di saper distinguere

Nel lavoro psicoterapeutico, non è sufficiente accogliere il vissuto: è necessario saperlo distinguere dal fatto, per non confondere empatia con collusione.

Qual’ è la differenza tra vissuto psicologico/emotivo e fatto realmente accaduto?
– Il fatto realmente accaduto
È ciò che è oggettivamente successo nel mondo reale, cioè:
– osservabile,
– verificabile,
– documentabile da più punti di vista.
I fatti sono dati. Non dipendono da come ci sentiamo, ma da ciò che si può dimostrare o constatare.
 
– Il vissuto psicologico ed emotivo
È la percezione soggettiva che una persona ha di un’esperienza.
Include:
– emozioni,
– pensieri,
– interpretazioni,
– reazioni interiori.

Esempi:
– “Mi sono sentita rifiutata quando Mario ha detto che non voleva parlarmi.”
– “Ho vissuto quella porta sbattuta come una forma di aggressione.”
– “Ho avuto paura di essere in pericolo anche se il medico mi diceva che non era grave.”

Il vissuto non è falso: è reale per la persona che lo prova. Ma non coincide necessariamente con il fatto oggettivo.

In sintesi, i Fatti sono:
Oggettivi
Condivisibili tra più osservatori
Rispondono alla domanda: “Cosa è successo?”
Verificabili

I Vissuti sono :
Soggettivi
Personali
Variano da persona a persona
Rispondono a: “Come l’ho vissuto?”

Perché è importante distinguere?

– In psicoterapia, aiuta a riconoscere e legittimare le emozioni senza confonderle con la realtà esterna.
– In ambito giudiziario, serve a distinguere la testimonianza soggettiva da elementi probatori.
– Nelle relazioni, evita malintesi: una persona può aver vissuto qualcosa come offensivo, minaccioso, intimidatorio, anche se l’altra non intendeva esserlo. Cosi come, può sentirsi lusingata quando l’intenzione era diversa.

Il focus è proprio sull’importanza di accogliere il vissuto senza sovrapporlo al fatto.

Una distinzione clinicamente centrale nella relazione terapeutica.

Nel lavoro psicoterapeutico, una delle competenze più importanti è la capacità di dare valore al vissuto soggettivo delle persone, senza confonderlo con ciò che è oggettivamente accaduto.

Ogni persona porta in seduta una storia fatta di emozioni, interpretazioni, ricordi, significati. Porta cioè il proprio vissuto, la maniera unica e personale in cui ha percepito, attraversato e interiorizzato un evento. E questo vissuto è sempre reale, sempre degno di ascolto.
Ma non sempre corrisponde al fatto oggettivo.
E questo è un punto clinico fondamentale.

Per lavorare responsabilmente, il – la terapeuta ha il compito di accogliere profondamente il sentire del-della paziente, la sua rabbia, il suo dolore, la sua paura, senza trattarlo come “prova” di ciò che è accaduto nel mondo esterno.

È come se la terapia si muovesse su due piani paralleli ma intrecciati:
– il piano della verità soggettiva, che va ascoltata e validata,
– e il piano della realtà fattuale, che richiede distinzione, discernimento, decostruzione.

Questa doppia attenzione è ciò che consente al lavoro terapeutico di non cadere né nella negazione del sentire (“è tutto nella tua testa”), né nell’ingenuità interpretativa (“se lo hai sentito così, allora è successo così”).

Il-la terapeuta non fa il-la giudice, ma non è neppure uno spettatore passivo del racconto.
Lavora con ciò che la persona porta, ma anche con ciò che manca dal racconto; con i silenzi, con le distorsioni possibili, con le strutture emotive che danno forma alla narrazione.

In questo senso, la psicoterapia è anche un lavoro di chiarificazione: aiutare la persona a distinguere ciò che è accaduto da ciò che ha vissuto, per restituirgli potere personale, e comprensione profonda di sé e della propria storia.

Quali rischi corre un* paziente che confonde vissuto e fatto?

Il primo rischio è quello di irrigidire la propria narrazione
Quando il vissuto viene preso come verità assoluta dei fatti, il racconto di sé può diventare chiuso, difensivo e difficile da mettere in discussione.
Si consolida una storia personale che può non lasciare spazio a nuove possibilità di significato.

Il secondo rischio riguarda la distorsione relazionale
Scambiare un’emozione (es. “mi sono sentito escluso”) per un fatto (es. “mi hanno escluso di proposito”) può generare conflitti, incomprensioni o attribuzioni errate dell’altra persona.
Questo può compromettere legami significativi o rinforzare pattern relazionali disfunzionali.

Il terzo rischio riguarda la deresponsabilizzazione
Se “ciò che sento” è automaticamente “ciò che è accaduto”, la persona può evitare di assumersi la responsabilità del proprio modo di reagire o interpretare.
Rischia di restare bloccata nel ruolo di vittima o accusatore- trice, senza possibilità di scelta o trasformazione.

Un altro rischio ancora riguarda la fragilità identitaria
La mancata distinzione tra vissuto e fatto rende difficile costruire un senso di sé coerente e fondato. Se tutto è percepito come minaccioso, colpevolizzante o definitivo, la persona può oscillare tra sfiducia cronica e ipersensibilità, con ricadute sul proprio equilibrio psichico.

Da ultimo, ma non meno grave può esserci il rischio di un blocco terapeutico.
In terapia, se non viene facilitata questa distinzione, il processo rischia di cristallizzarsi.
La persona può rivivere sempre lo stesso copione senza comprenderlo davvero, né trovare nuove strade per trasformarlo.

In chiave gestaltica:
In psicoterapia della Gestalt, il vissuto soggettivo è sempre un punto di partenza prezioso. È la porta d’accesso all’esperienza, al mondo interno della persona, al modo in cui essa entra in contatto con sé e con l’altro. Ma, quando il vissuto viene assunto come fatto, senza distinzione, il rischio clinico è significativo: il contatto con la realtà si indebolisce e l’esperienza perde fluidità.

La persona rischia di irrigidire la propria narrazione, di chiudersi in una visione parziale e autocentrata, dove ciò che “sento” diventa automaticamente “vero” e indiscutibile. In questo spazio confuso, viene meno la possibilità di esplorare, differenziare e integrare.
La persona rimane invischiata in un copione ripetitivo, in cui la realtà esterna è filtrata da vecchie figure interne non elaborate.

Per il-la terapeuta gestaltico-a, ma non solo, la responsabilità è doppia: accogliere pienamente il vissuto, legittimandolo come reale per la persona, ma senza colludere con la sovrapposizione tra sentire e accadere.

È proprio nel sostegno a questa distinzione — chiara, gentile e rispettosa — che si apre lo spazio per una consapevolezza più ampia e per un contatto più autentico con la propria esperienza nel presente.
Distinguere non significa sminuire.
Significa creare uno spazio in cui il vissuto possa essere compreso, contenuto e trasformato, senza perdere il contatto con la realtà.

I vissuti non hanno colpevoli. Sono frammenti di esperienza interna, fatti di emozioni, paure, desideri, interpretazioni, associazioni…

“Il fatto è ciò che è accaduto. Il vissuto è come lo abbiamo sentito.
La terapia inizia quando smettiamo di confonderli”

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